Serie C

Dalle aringhe a Dante, tutta la C "del campanile"

di Mimmo Frusi

Pubblicato il 17/08/2023

Per campanilismo si intende l'attaccamento eccessivo alla propria città, ai suoi usi e alle sue tradizioni. La difesa di tali valori può talvolta determinare uno spirito di rivalità anche molto accesa con i centri vicini.

Qualcuno interpreta il campanilismo in senso positivo, come sinonimo di "difesa delle tradizioni", ma generalmente il campanilismo si manifesta nell'odiare o invidiare, spesso senza motivazione, gli usi dei "vicini di casa", spesso peraltro simili tra loro. Il termine deriva dalla parola campanile, ed ha un significato importante, in quanto è proprio il campanile stesso a determinare la divisione tra paesi. Pertanto, il campanilismo, pur avendo esempi su ampia scala, caratterizza soprattutto le divisioni culturali, sociali e sportive tra piccoli paesi o province.

Questa definizione presa e rivisitata dalla cara Wikipedia spiega abbastanza brevemente il fenomeno che, se pur affondi le radici in questioni meramente storiche oggi affiora ancora e soprattutto attraverso lo spor. Diciamocelo dai. Attraverso il calcio.

La divisione dei gironi della serie C per area geografica alimenta a dismisura tale fenomeno. Palese è che oggi al Padovano in trasferta a Vicenza poco interessi ormai dell’altezza o bellezza del campanile della propria città quanto invece di andare a prendersi punti importanti al Menti e di umiliare magari con una sonante sconfitta i centenari rivali di sempre anche sul campo di calcio.

La storia delle battaglie tra città e paesi vicini, per fortuna, si è, con il passare degli anni, spostata negli stadi. Quello dei veneti non è chiaramente l’unico esempio. Ogni girone pullula di antiche rivalità. Prima storiche ora calcistiche. Anzi non sminuiamo nulla chiamandole storico-calcistiche.

Nel girone B a farla da padrone sono chiaramente le toscane. A spiegare il campanilismo toscano è addirittura Dante Alighieri nel XXXIII dell’Inferno, dove il Sommo con una metafora geografica spiega in maniera impeccabile l’odio tra Pisa e Lucca: “per che i Pisan veder Lucca non ponno”. Il riferimento è al monte Pisano, ostacolo naturale posto a metà strada tra i due capoluoghi toscani, ma è evidente il riferimento al fatto che pisani e lucchesi, tra di loro, non possano vedersi a causa della loro rivalità. Ed è nello stesso canto che il fiorentino Dante si scaglia contro Pisa, in un’invettiva che meglio di tante altre cose racconta quello che ancora oggi è un tipico atteggiamento campanilista. “Ahi Pisa, vituperio delle genti”, esordisce il Sommo, auspicando una catastrofe di proporzioni epiche alla città: “muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’elli annieghi in te ogne persona!”. Non si limita ad augurare una generica morte di tutti i pisani, ma una catastrofica chiusura della foce dell’Arno da parte di due isole, con conseguente straripamento del fiume e annegamento dell’intera popolazione della città. Un accidente talmente elaborato da strappare quasi un sorriso, lo stesso di quando si leggono certi striscioni ai derby tra Pisa e Livorno.

Non ci sono pisani e livornesi in serie C ma ci preme sottolineare come Pontedera e Lucca vanno d’accordo come il formaggio sulla pasta e vongole, mentre sulla sponda adriatica è da evidenziare l’eccesso di campanilismo che intercorre tra Cesena e Rimini. In questo caso l’episodio da raccontare è sicuramente quello della famigerata "guerra delle aringhe", cioè della sceneggiata delle aringhe in faccia con i riminesi che a metà degli anni 70 andarono allo stadio armati di una canna da pesca, o di un semplice bastone con attaccato un filo da cui pendeva una puzzolentissima aringa che durante tutta la partita fecero ruotare sotto il naso dei tifosi cesenati accorsi a Rimini per sostenere la propria squadra. La risposta dei cesenati non si fece attendere molto e alla partita di ritorno ricoprirono i tifosi avversari di aringhe (o saraghine fradice) in quantità industriale a fine partita. Ma non è tutto: quando i tifosi riminesi, tornando da una trasferta, avevano la sfortuna di dover transitare da Cesena, erano grossi problemi, perché i cesenati li aspettavano alla stazione o in punti strategici lungo la via Emilia, e via raffiche di aringhe sui riminesi, vere e proprie valanghe addirittura. "Quii dla saraghina" erano soprannominati con ironia tutta romagnola i tifosi riminesi.

Nel girone meridionale subito alle spalle del derby tra Messina e Catania, 77 km colmi di Storia e di storie, spiccano, manco a dirlo, le accese rivalità delle pugliesi, tra Foggia e Taranto c’è lo stesso amore che può esserci tra Putin e gli USA, e delle campane su tutte Benevento e Avellino con i torresi che hanno ben poche simpatie nei confini regionali.

E allora signori non resta che attendere mettendosi comodi a casa o sugli spalti, e vedere chi nel corso del prossimo campionato, erigerà il campanile più alto e più bello della lega pro primeggiando così sulle altre piazze nemiche perché proprio come annotava nel Settecento lo scrittore Johann Wolfgang Goethe durante il suo viaggio nella penisola italiana: “qui sono tutti in urto l’uno contro l’altro, in modo che sorprende. Animati da un singolare spirito di campanile, non possono soffrirsi a vicenda”

di Mimmo Frusi

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